Il perfido porfido. [La memoria della pietra]
Butti la carta per terra.
L’impatto scava il porfido.
Ma va’…
Sì. Poco, pochissimo, impercettibilmente ma lo scava. Il porfido conserva la forma della carta, la carta quella del porfido.
Anche un passo segna la pietra. O l’asfalto, o il marmo lucidato, o il vetro temperato.
E mille passi?
Mille passi raccontano una storia.
I passi di tutti quelli che in tutti i secoli hanno attraversato quella piazza dal giorno in cui i selciatori l’hanno lastricata, fino a quando l’amministrazione comunale non ha detto «ci coliamo un bello strato di asfalto che facciamo prima».
Gente che andava di fretta, che andava lontano, che andava vicino, che non sapeva dove andava e si annodava su se stessa.
E il professore con gli occhiali a cui hanno sparato mentre era in bici in un giorno di maltempo e ha lasciato una macchia di sangue che si è infiltrata tra i masselli del pavé. L’ha cancellata la pioggia, ma la pietra la ricorda. Ricorda i bossoli e gli occhiali infranti meglio della lapide – sempre di pietra – che hanno messo sul muro.
È la natura della pietra. Ricorda la pioggia, la neve, le carte di caramella.
Ricorda i passi: li ha scolpiti dentro e li unisce come puntini a formare traiettorie che si intersecano.
Come i passi di Gianni, fermi sui gradini per quasi un’ora, fino a quando, ravvicinati e sottili sono arrivati quelli di Elisa.
Poi, per un lungo minuto, solo l’impronta delle punte.