Letture
Lato finestrino, posizione di difesa: la spalla appoggiata alla parete e un piede sul sedile a fare da cavallo di Frisia. Con le cuffiette spinte nelle orecchie e gli occhi infilzati nella pagina, Alice viaggia da pendolare nel treno affollato delle sette e quarantatre; si ritaglia frammenti di lettura nelle poche fermate che la separano da Milano, mezz’ora di tragitto più eventuali ritardi. Oggi ha avuto la fortuna di trovare un posto libero: una signora di mezza età con impermeabile beige e marito remissivo al seguito è scesa dopo due fermate. Le ha ceduto il posto con aria compassionevole. Alice ha preceduto di un soffio un ragazzo sui trent’anni che l’ha guardata di traverso. Ora cerca di godersi la vittoria riprendendo la lettura esattamente da dove l’ha lasciata, in sala d’aspetto: Ho mangiato tonnarelli alla carbonara con gli spessi pezzi di pancetta bruciacchiati e l’uovo troppo rappreso. Non avevo nessuno con cui parlare. Il piatto era bianco e pesante.
Sente un senso di nausea, ma non è il pensiero della carbonara alle otto del mattino, è quell’immagine del piatto bianco, pesante. Lo stesso che ha messo in tavola ieri sera, senza offrirsi il riguardo di una tovaglia. Ha mangiato di fretta (una minestra di legumi, la carbonara alla sera non la digerisce), con il computer aperto accanto, crudelmente silenzioso.
Così Paolo non ha scritto. Non scriverà. Sarebbe ora di vedere altre persone, di socchiudere la porta e di alzare le tapparelle. Lo sa bene, glielo hanno detto anche le amiche, come se il problema fosse saperle, le cose. Il problema, invece, è dimenticare quegli occhi, quelle mani. Cancellare il ricordo di come si sentiva tra le sue braccia. Ci vorrebbe un ragazzo speciale, no anzi, un uomo. Qualcuno capace di leggere dentro le sue ferite, ma abbastanza forte da trascinarla fuori.
Riprende: Così io sto, poco oltre l’incrocio delle righe, nella zona in cui ormai si sono interrotte. La pagina la attrae e insieme la respinge. Vorrebbe chiudere il libro e abbandonarlo sul sedile. Magari lo troverebbe una ragazza innamorata, lo leggerebbe commovendosi ma senza soffrire. Però non riesce a farlo, torna a quelle parole su misura per lei. Ecco, ci vorrebbe qualcuno così, come il protagonista di questo romanzo così autobiografico.
Quasi non nota una mano che attraversa il suo spazio visivo. Con un certo fastidio posa il libro sulla piega della gamba. Due occhi profondi la fissano dal sedile di fronte. Il ragazzo con cui aveva lottato per il posto sta dicendole qualcosa, Alice sente solo i Pink Floyd cantare. Prova la vergogna colpevole di quando qualcuno spalanca la porta del bagno che avevi dimenticato di chiudere, entrando all’improvviso nella tua intimità. Spegne tuttavia la musica. Il ragazzo sorride.
Non sente il bisogno di riprendere il discorso dall’inizio: «…visto piangere e allora mi sono permesso di…».
Alice lo fissa perplessa. Non capisce il senso della frase, né il perché di quella intrusione. Poi sente una lacrima scivolarle tra le labbra, il sapore del sale. Arrossisce. Riprende il libro e ci si immerge trattenendo il respiro.
Il ragazzo insiste: «Scusa se mi permetto. È per via del libro che piangi?».
“Sì, no, che cazzo te ne frega, sì, comunque sì”, Alice passa in rassegna le risposte. Tace, gli lancia uno sguardo severo, scuote la testa, torna a leggere. Ma quello non cede, riprende: «Gabriele, piacere». Porge la mano.
Alice lo ignora con ostentata indifferenza. Rinforza la posizione di difesa sollevando una spalla, spingendo il piede ancora più indietro, sotto al culo. Si aggrappa al libro, lo rigira tra le mani, guarda la copertina con quella ragazza dai capelli lisci che un po’ le somiglia.
«Gabriele Dadati», sta dicendo il ragazzo. Alice non può non alzare lo sguardo. Due occhi neri benevoli e profondi la stanno fissando. Un sorriso timido sul viso.
L’istante in cui Alice capisce è lo stesso in cui il treno infila la sola galleria del percorso. Cambio di scena: luci al neon, rimbombo di traversine, spostamento d’aria al carbone dai finestrini aperti. Ora sorride, guarda la copertina, il nome dell’autore scritto in alto in arancione, piccolo ma visibile. Dice: «Oh, ma certo». Poi ancora: «Oh, che stupida, quel Gabriele». Ma nessuno la sente per il rumore del treno.
Così, finita la galleria, può riprendere a parlare sentendosi più calma e sicura: «Non ci posso credere, Gabriele Dadati… Sto leggendo ora Piccolo testamento».
«È per questo che mi sono permesso. Non sono così famoso, non mi capita spesso di trovare qualcuno che legga un mio libro in treno».
«Tu non sai quanto mi ci sia ritrovata».
«Leggendo e piangendo insieme è ancora più raro».
«Vai a Milano?».
«È la prossima, siamo arrivati».
«Se non sei di fretta, ti va un caffè?».
* * *
La signora con l’impermeabile beige ha fatto alzare tutto il vagone per scendere, e quell’imbranato di suo marito, che non si era nemmeno accorto della fermata, ha rischiato di rimanere a bordo. Il ragazzo scatta per prendere il posto lasciato libero, spintona un paio di persone. È un treno per pendolari e ogni colpo è lecito. Ma la moretta dai capelli lisci è più vicina, in un attimo è seduta con l’aria soddisfatta della vincitrice. Poi però si alza anche il marito, stesso impermeabile beige, raccogliendo borsa occhiali giornale caramelle con disordinato affanno. Borbotta delle scuse mentre spinge alcuni studenti per farsi largo. La moglie intanto è già quasi arrivata alla porta.
Il ragazzo si getta sul sedile ancora caldo. Si trova così proprio in faccia alla moretta, che nel frattempo si è rannicchiata in posizione fetale e si è isolata dal mondo con le cuffiette bianche dell’ipod nelle orecchie. Legge un libro color vinaccia con in copertina la foto di una che le somiglia. Deve essere un tipino intellettuale, sensibile, fragile, di quelle a cui piacciono i maschi decisi e autorevoli. Quando gira pagina deglutisce vistosamente come se stesse bevendo un sorso di vino. Ha gli occhi chiari, un po’ arrossati. Indossa un maglione troppo largo ma sembrerebbe avere due belle tette.
Il ragazzo la osserva attento. Mette anche lui un piede sul sedile, si appoggia al finestrino imitandone la posizione. Ha letto un manuale di PNL e sa che queste posizioni speculari creano empatia.
Ma lei non lo guarda, troppo immersa nella lettura. A tratti sembra quasi stizzita, appoggia il libro, poi lo riprende. Ha delle belle mani, sottili, le nocche delle dita sono diventate bianche. Potrebbe essere il tipo giusto per provare una nuova tecnica. Il ragazzo prende il cellulare e comincia a cercare informazioni. Non è molto ferrato in letteratura ma ha un intuito speciale per le donne e quella che ha di fronte è così immersa nel suo romanzo che potrebbe non accorgersi nemmeno della scarsa somiglianza. Scorre un paio di siti, legge qualche recensione. “Dev’essere un pippone pazzesco ‘sto romanzo”, pensa. “Una storia di morti e scrittori sfigati che scopano una volta ogni sei mesi. Chissà che ci trova”.
La ragazza intanto si è come infeltrita nella sua posizione, ha iniziato a piangere e il petto si gonfia ritmicamente con i suoi singhiozzi.
“Belle tette, ci ho preso”, pensa il ragazzo mentre allunga una mano per attirare la sua attenzione. La ragazza lo ignora. Si capisce benissimo che lo ha notato, lo sta facendo deliberatamente.
«Ciao, tutto bene? Ti ho visto piangere e allora mi sono permesso di…», azzarda.
Lei, immobile, sembra non sentirlo.
«Scusa se mi permetto. È per via del libro che piangi?», dice allora un po’ più forte. Qualcuno si volta incuriosito, lei lo guarda brutto.
“E va bene”, pensa. E comincia a ripetere tra sé e sé: “Gabriele Dadati, Gabriele Dadati, Gabriele Datati, che nome del cazzo. Piccolo testamento, che titolo del cazzo”.
«Gabriele, piacere». Porge la mano.
Lei spegne infastidita l’ipod.
«Gabriele Dadati».
Il treno imbocca una galleria, il volto della ragazza si illumina mentre tutto intorno la carrozza diventa scura e un rimbombo infernale si mangia le parole.