Dress Code
«L’hanno composta male.»
«Per loro è un lavoro come un altro.»
«Guarda le calze come sono froissées.»
«Le aggiustiamo subito, le calze.»
«Chi se ne frega delle calze.»
«Adesso li chiamo e glielo dico. Tanto devono tornare per finire.»
«Ho guidato dieci ore di fila ieri e ho fatto la notte in bianco, figurati se mi interessa delle calze. È una questione di rispetto, di professionalità.»
«Potevi anche venire in aereo.»
«La macchina mi rilassa, mi fa sentire libera.»
«L’importante è che sei arrivata in tempo.»
«Ci siamo appena salutate.»
«Dopo tanti anni.»
«Senza una parola. Ha solo sorriso.»
«Però ti aspettava, sai? Alla fine chiedeva di te ogni giorno. Ogni singolo giorno.»
«Per favore…»
«Ora è in un posto migliore; almeno non soffre più.»
«Risparmiami queste frasi da chiesa.»
«Ma è così. Tu eri lontana ed è stata una lunga malattia. Molto faticosa. Per lei. Per noi. Non immagini quanto c’era da fare: i medici, il fisioterapista, l’ossigeno, le medicine.»
«Già.»
«Tieni qui, intanto, ti spiace?»
«Nemmeno per me è stato facile.»
«Gli ultimi tempi non mangiava più, solo sondino, flebo. Ma ti ha aspettato per morire. No, giralo dall’altra parte, la piega va all’esterno.»
«Anna, basta rivangare adesso.»
«Scusa. Sono distrutta: ero abituata ad averla qui, anche se non parlava, anche se dovevo accudirla a ogni ora. Adesso è come se ci fosse un vuoto che non so come riempire. Ho bisogno di fare cose. Tieni forte il bordo, così poi non lo stiro, che la casa è tutta in disordine. Stanno arrivando i bambini, Sandro è andato a prenderli a scuola.»
«Non sono più bambini, sono ragazzi.»
«Questo non rende le cose più facili. Passami l’altro lenzuolo, lo mettiamo via.»
«A diciotto anni si possono capire tante cose.»
«Vediamo cosa resta da fare: ho chiamato don Mario, dobbiamo scegliere le letture.»
«Fai tu, che sei amica del prete.»
«Ci sono un po’ di carte da firmare. E i necrologi. Magari chiedo a Sandro. I due dell’agenzia sono ancora qui?»
«Hanno detto che devono andare e se possiamo scegliere il vestito.»
«E adesso lo scegliamo.»
«È il loro lavoro. Possono aspettare altri dieci minuti.»
«Comunque è solo un vestito, non è che dobbiamo…»
«No, infatti.»
«Pensavo quello a fiori: guarda, te lo ricordi? Lo metteva spesso d’estate, quando eravamo ragazze e ci portavano a Rapallo. La sera scendevamo a prendere il gelato al Polipo. A fare le matte sul molo. Qualche volta lo indossavi anche tu, avevate la stessa taglia allora.»
«Che odore! Sa di naftalina.»
«Un colpo di ferro ed è a posto. Ci metto un minuto: ho già fuori l’asse.»
«Arrête! Nemmeno chiedermi un parere?»
«Tu non c’eri. Ora che mi ci fai pensare, forse lo aveva anche l’estate in cui sei partita. Ti ricordi? Era venuta al mare anche la tua amica Mara. Indossavate quel vestito a turno, facevate a gara a chi stava meglio. A me naturalmente andava stretto.»
«Non mi va che tu abbia già scelto.»
«È solo un vestito, serve per un giorno.»
«Lo porterà per sempre.»
«Alla mamma piaceva. Sono sicura che lo vorrebbe.»
«Certo, se fosse viva. Ma ora qui siamo in due.»
«Tre, con papà.»
«Lo hai visto, papà? Cosa vuoi che dica? Fa quello che gli diciamo di fare, è perso. Oggi ti ha chiesto tre volte se mamma aveva dormito bene.»
«È emozionato.»
«È sempre stato così.»
«Perso?»
«Comandato dalla mamma. E adesso da te.»
«Scusa ma che cos’ha questo che non va?»
«È un vestito estivo, siamo in novembre! Senti che freddo che fa.»
«È per la finestra, hanno detto di lasciarla aperta per via del… In ogni caso io dico che va benissimo. Me la rivedo allegra.»
«Io non la ricordo affatto così. Non quell’estate almeno.»
«Certo, perché… Va bè, lasciamo perdere. Non possiamo discutere così proprio oggi. Mamma mi diceva sempre di andare d’accordo con te: “Vai d’accordo con Stella, mi raccomando. Senti Stella, scrivi a Stella, saluta Stella. Ha bisogno di te, Stella…”, così diceva.»
« Non si mette il vestito a fiori ai morti.»
«Chi lo dice?»
«È la tradizione, non lo dice qualcuno. Lo dicono tutti.»
«Ma da quando ti è importato qualcosa della tradizione?»
«Ad ogni modo non si fa nella nostra famiglia.»
«Sei uscita di casa a vent’anni e sei tornata sì e no tre volte prima di ieri. Non mi pare ti importi molto della famiglia.»
«Tu cosa ne sai?»
«Sono tua sorella maggiore.»
« Quella che ha fatto i figli e che è rimasta vicino a mamma quando è rimasta sola. E ora me lo ributti in faccia come un rimprovero. Io sono quella sbagliata: mai al suo posto, mai un ragazzo stabile, mai una certezza. Quella che è fuggita in Francia a fare conneries.»
«Straparli.»
«Tu invece sempre con Sandro, con due figli perfetti. Sempre disponibile. Sempre in chiesa. E ora le vuoi mettere il vestito a fiori, come se fosse una festa. Forse per te è una festa! Ora avrai la casa, i soldi.»
«Stella, finiscila!»
«Mettiamole l’abito piuttosto.»
«Che abito?»
«L’abito da sposa.»
«Ma sei matta? Non so nemmeno dove sia, non ho ancora riordinato i suoi armadi. E poi non vorrebbe.»
«Perché te lo ha detto, vero? Qualcosa tipo: “Seppellitemi con l’abito a fiori”.»
«Proprio tu, l’abito da sposa… Come ti viene in mente?»
«Io ci credo nel matrimonio.»
«Sei stata con un uomo sposato.»
«Nel loro matrimonio, intendo. Per me sono rimasti sempre insieme. Poi, con quello che è successo, logico che mamma…»
«Nell’abito da sposa non ci entra più.»
«Ma l’hai vista? È pelle e ossa. Certo che ci entra. Semmai gli faranno delle pinces con gli spilli…»
«Il vestito bianco no, sarebbe un insulto a papà.»
«E invece sarebbe un modo per ricordare quando erano felici. Quando ci credevano.»
«Lei era felice anche a Rapallo con il vestito a fiori. Poi nel giro di una settimana tu e papà ve ne siete andati.»
«Ho dovuto, non lo capisci?»
«Abbassa la voce, ci sentono.»
«Sai quante ne sentono quelli. Ogni morto un litigio.»
«Ci sente papà.»
«Guarda che papà non vuole né vedere né sentire, e nemmeno ricordare.»
«È permesso? Scusate se vi interrompo.»
«Te l’avevo detto che ci sentivano.»
«Dica.»
«Io e il collega dovremmo andare, sa per le pratiche, i documenti. Tra mezz’ora chiude l’ufficio.»
«Andate pure.»
«Veramente, dovremmo finire di vestirla, ecco.»
«Sì, ha ragione. Stavamo proprio decidendo…»
«Senta, può dire lei a mia sorella che un vestito a fiori, in novembre, a una vecchietta di settantaquattro anni non si mette?»
«Ma guardi com’è bello! Vivo. Poi ci ricorda tante cose. Pensi che Stella vorrebbe metterle l’abito da sposa…»
«Lei che ne dice? Si fa?»
«Veramente non saprei. È questione di gusti. A chi piace, a chi no.»
«Ma lei lo metterebbe un abito a fiori?»
«E uno di nozze?»
«Nel mio lavoro se ne vedono un po’ di tutte. Chi ama il classico, chi preferisce il moderno…»
«L’abito da sposa è perfetto.»
«No, guardi, le mettiamo questo. Facciamola finita. Dovete solo dargli una stiratina, il ferro è di là.»
«Anna, lo fai apposta, vero? Lo fai perché sai cosa mi ricorda il vestito? Dillo.»
«Io, allora… Semmai ripasso tra dieci minuti.»
«Perché anche tu hai sempre pensato che in fondo fosse colpa mia, colpa delle mie amiche troppo disinvolte. E adesso ti prendi la tua revanche, una rivincita eterna, per sempre indosso a lei…»
«Stella, ma cosa dici? E lei resti qui che ora le diamo questo cavolo di vestito.»
«Davvero, non è un problema per noi… Ci siamo abituati, per dire. Chi decide subito, chi ci pensa su.»
«Stella, ti giuro che non capisco di cosa parli.»
«Di quell’ultima estate. Di quello che ha fatto papà con Mara, in casa nostra! Delle cose terribili che mi ha detto mamma. Non potevo restare, ho dovuto andare via.»
«Io non ho mai saputo niente.»
«Anni con lei e non hai capito? Non hai chiesto?»
«Credimi, Stella.»
«Ieri mamma mi ha guardato, ha sorriso, ma non ha detto nulla. Nulla, nemmeno una parola. Avrei voluto fare pace.»
«Chiedeva sempre di te.»
«Avrebbe potuto telefonare, allora.»
«Scusate…»
«Abbiamo finito, un po’ di pazienza putain!»
«Solo una cosa.»
«Cosa?»
«Non sono affari miei, per dire. Ma alle volte, anche un semplice tailleur scuro. Si fa.»