Di libri e letture
Recensioni sfocate: ritratti di scrittori senza scrittori | Alessandra Selmi
«Vorrei recensire il tuo libro», avevo proposto ad Alessandra.
«Grazie», aveva risposto educatamente.
«Però vorrei recensirlo fotograficamente».
«Non ho capito, ma accetto volentieri».
Quando un paio di settimane dopo ci siamo visti in Stazione Centrale a Milano, e le ho chiesto di aggirarsi con il libro in mano lungo la banchina, di posare sulla scala mobile facendo innervosire i milanesi imbruttiti in partenza, o ancora di sedersi sulla scalinata ovest mentre fotografavo il libro in equilibrio sui gradini, forse il progetto è diventato più chiaro. Ma ancora non sapeva che avrei fotografato il libro e non lei.
Siamo in un’epoca in cui la visibilità dell’autore conta più di quella del libro. L’autore si promuove sui social network, nelle presentazioni. Il lettore, comprando il libro, “compra” in un certo senso una quota del suo autore. Si arriva al paradosso per il quale un’autrice mai vista in pubblico come Elena Ferrante è addirittura più presente di una che si palesa, proprio per il fatto di essere inaccessibile.
Così mi sono detto: sarebbe bello fare delle foto recensioni in cui mettere in evidenza il libro e nascondere l’autore. Fare delle recensioni sfocate, nelle quali il libro è in primo piano e l’autore si indovina sullo sfondo. Un po’ come, quando si legge, si cerca di ritrovarlo nelle pagine ma non si è mai sicuri di averlo riconosciuto. La prima la trovate qui, ed è dedicata a La terza (e ultima) vita di Aiace Pardon, Baldini e Castoldi.
Questo metodo, oltre ad essere molto indicato per gli autori schivi, presenta il vantaggio di creare un certo disturbo della quiete pubblica, specie se si scatta, come abbiamo fatto, in luoghi affollati, e focalizza l’attenzione sulla copertina del libro e sul paziente lavoro grafico e di marketing sottostante.
Se autori o editori all’ascolto fossero interessanti in una “recensione sfocata”, possono contattarmi qui.
Siccome però, in un libro, l’autore è importante. Ecco per concludere una foto anche di Alessandra.
E così vuoi lavorare nell’editoria?
«Alle cene cui prende parte un editor c’è sempre un aspirante autore,
un po’ come alle cene cui prende parte Miss Marple c’è sempre un assassino.»
Ci sono mestieri difficili da fare ma facili da spiegare: mettiamo il cardiochirurgo, il violinista professionista o anche il soffiatore di vetro. Tutti sanno cosa siano e a cosa servano. Mestieri difficili da spiegare e basta (più che altro per ragioni di pudore): tipicamente la prostituta e il giornalista. Poi mestieri difficili da fare e impossibili da spiegare: uno di questi è l’editor.
Ora, si potrebbe obiettare che non ci sia nemmeno una ragione precisa per conoscere chi sia e cosa faccia un editor. Gente è vissuta benissimo senza sapere di cosa si occupi un social media manager, per dire, potrai fare a meno di conoscere le figure professionali della filiera del libro. D’accordo, del resto i mestieri-difficili-da-spiegare si portano sempre dietro un certo quale senso di colpa: se non si capisce cosa siano vuol dire che non sono proprio dei lavori veri veri.
Tuttavia. Tuttavia ci sono tre circostanze per le quali può essere necessario che tu sappia chi è un editor e cosa faccia; in tal caso mi sentirei di consigliarti la lettura di questo E così vuoi lavorare nell’editoria. I dolori di un giovane editor di Alessandra Selmi, Editrice Bibliografica.
Caso numero 1: sei un editor
Se sei un editor, ma anche un redattore, un revisore, un editore, un libraio, insomma se ti occupi di libri per professione, ti sentirai a casa, avrai il piacere di riconoscerti nelle dinamiche editore-autore, nelle piccole grandi paranoie dello scrittore, ti sentirai meno solo nel compito arduo di ridare forma a un testo. Riderai non poco e poi accorgerai di un sorrisetto ironico sulle labbra.
Caso numero 2: sei uno scrittore o un aspirante scrittore
Se sei uno scrittore o ancora di più un aspirante scrittore (magari di quelli che si ritengono già tali anche senza aver pubblicato nulla) avrai una sorta di visita guidata nel dietro le quinte di una casa editrice: capirai perché gli editori seri facciano aspettare qualche mese prima di rispondere a una proposta editoriale (perché la leggono), quali tuoi atteggiamenti potranno favorire questa lettura e quali altri la potranno irrimediabilmente compromettere (ampia casistica di situazioni in cui non presentare il proprio manoscritto), vedrai forse per la prima e ultima volta il tuo libro con gli occhi di chi ti aiuta a renderlo migliore. Consiglio per esempio il capitolo sulle lettere di accompagnamento e sulle telefonate di recall.
Caso numero 3: sei un lettore
Sì, i lettori sono meno degli scrittori, ma ciò non toglie che possa essere molto interessante scoprire il percorso che compie un manoscritto per diventare libro, quali cure e attenzioni gli vengano rivolte, quale sia il contributo spesso invisibile che alcuni professionisti danno al testo proprio a vantaggio del lettore. Il romanzo rilegato che ti guarda dal banco della libreria è il prodotto di un lungo viaggio. E in questo viaggio, oltre all’autore, solo un’altra persona è stata sempre in contatto con la storia che stai per leggere: questa persona è un editor, e ora saprai chi è e cosa fa.
Ma c’è di più, questo libretto è prima di tutto un atto d’amore per una professione importante, che rischia di essere a volte sacrificata per motivi economici o di tempo, un omaggio alla qualità del libro, sia esso il Grande Romanzo o il romanzetto. Alessandra Selmi ne parla con ironia, soprattutto auto-ironia (in quanto in questo caso essa stessa esordiente), attinge alla sua esperienza professionale senza farla pesare, anzi con leggerezza e umorismo. Cita episodi reali e prototipi realistici di autori, quando serve li bacchetta. Ma niente effetto maestrina, anche se la penna rossa in mano ce l’ha eccome, perché sa che a un editor non è perdonato nulla, né un refuso, né una ripetizione.
E soprattutto, nessuno capisce cosa faccia davvero di lavoro, ma in ogni situazione ci sarà sempre qualcuno che tirerà fuori da un borsa un fascio di fogli e glielo lascerà in lettura sperando in una pubblicazione.
La fiera prima della fiera [Salone del Libro 2014]
Ho sempre amato la fiera prima della fiera. I corridoi pieni di scatoloni vuoti, resti di imballaggi e bancali. Il via vai degli elettricisti e dei mulettisti. Gli “adetti ai lavori” in jeans e t-shirt, il bar del Lingotto senza coda. Gli stand che prendono forma e che puoi provare a immaginare come saranno domani, con i libri esposti e la gente che cerca di rubarli (dinamica tipica delle fiere). Le corsie senza moquette e senza la mascotte di Geronimo Stilton.
Verso sera gli standisti se ne andranno, lasciando il campo agli allestitori. Nella notte stenderanno chilometri di moquette rossa a coprire il cemento nero dei padiglioni, sparpaglieranno estintori e piante, taglieranno la plastica che copre la moquette degli stand.
Giro per i padiglioni, vedo Einaudi ancora in fasce, Mondadori in mutande e la Gran Loggia d’Italia che ha incappucciato anche le sedie (una scelta di grande coerenza). Vedo un nuovo reality sugli scrittori impegnati nei lavori domestici che prende forma.
Al mattino, stamattina, comincia il Salone del Libro. Chi lo vede tutto in tiro non sa che è come una ragazza che ieri sera era in tuta.
#intantoleggo
Parte oggi, ma ha già girato l’Italia nelle scorse settimane raccogliendo storie e immagini. E’ #intantoleggo, la campagna di Bookrepublic con le foto di Valentino Candiani per raccontare gli spazi, i tempi, gli incastri acrobatici, le oasi di silenzio (in monastero o con le cuffiette in testa) del Paese che legge. Che legge intanto, riappropriandosi di sé e del proprio tempo.
Su facebook la campagna è qui.
Ognuno può partecipare, condividendo, commentando, raccontando: io lo faccio con le mie foto (in questa gallery) e con questo breve ma tempestivo post…
Il fascino anti economico della scrittura
Il fascino della scrittura risiede anche nella sua anti economicità, nello squilibrio tra la fatica che richiede e il risultato, a volte apparentemente insignificante, che raggiunge.
Tra le molte ore passate a scrivere e le poche ore necessarie per leggere un romanzo.
Tra le revisioni di una frase contorta in bozze e poi scorrevole sulla carta.
Il fatto che qualcuno abbia voluto, dovuto, investire in una impresa tanto poco redditizia la rende di per se stessa preziosa.
Perché leggo i libri di scrittori che potrebbero essere i miei vicini di casa
Mi sta succedendo una cosa, ma non me ne sono accorto subito. Tipo non me ne sono accorto questa estate quando ho letto un giorno Cargo di Matteo Galiazzo, il giorno dopo Il metodo della bomba atomica di Noemi Cuffia, quello dopo ancora – avevo molto tempo libero – Piccolo testamento di Gabriele Dadati. Non me ne ero accorto nemmeno a giugno quando avevo letto Il male naturale e La felicità terrena di Giulio Mozzi. O prima ancora con E qualcosa rimane di Nicoletta Bortolotti. Ho cominciato ad avere dei sospetti qualche giorno fa, quando ho abbandonato il romanzo di un autore americano (di cui tacerò il nome) per prendere in mano Le molecole affettuose del lecca lecca di Francesco Consiglio, leggerlo in tre giorni – durante l’anno ho meno tempo che d’estate – su consiglio di un’amica e, finito questo, iniziare a ruota Il rutto della pianta carnivora ancora di Matteo Galiazzo, anche questo consigliatomi.
Qual è dunque questa cosa che sta succedendo a me, ma magari non solo a me? Non, come si potrebbe pensare, che leggo quasi solo libri di Laurana, quello è un caso o invece forse c’entra per il lavoro che stanno facendo con la collana Reloaded curata da Marco Drago e anche con gli altri titoli curati da Gabriele Dadati (al quale ho anche dedicato un racconto, ormai si penserà minimo minimo a sordidi do ut des letterari). Nemmeno che compro libri solo in base al passaparola, anche se pure questo c’entra. In realtà “la cosa” di cui mi sono accorto è questa: ho voglia di leggere libri di autori italiani, bravi, se possibile più o meno miei coetanei, viventi (almeno al momento), non troppo famosi, non troppo prolifici, e soprattutto (soprattutto) in qualche modo accessibili. Voglio sentirli vicini. Voglio pensare che, se non avessi capito qualcosa, o se mi fossi commosso alle lacrime, potrei scrivergli o citofonare alle otto del mattino della domenica per dirglielo. Voglio pensare che possano essere i miei vicini di casa.
Questa cosa, credo, ha un suo fondo di verità: una volta lo scrittore era qualcuno di distante, tipicamente rinchiuso in una torre d’avorio, che avvicinavamo solo attraverso i suoi libri e ciao. Al limite scrivevi all’editore se proprio volevi indietro i soldi.
Ora i soldi li posso chiedere indietro direttamente all’autore.
O magari posso vedere che faccia ha e che cosa legge lui.
Community? Tribù? Spero di no, aborro. Ma questa accessibilità mi piace. Magari non la userò mai, ma mi rassicura, mi avvicina, mi fa compagnia, mi fa pensare a una lettura partecipativa, a una società per azioni della narrazione (poi magari tra loro gli autori che ho citato si odiano tutti e si mettono i refusi nei libri a vicenda, ma mi pare di no). Un po’ come essere a cena in una trattoria e ce li hai lì al tavolo accanto che basterebbe anche solo alzare lo sguardo e far vedere con un’aria intelligente che lo hai capito benissimo che è lui quello di cui hai appena letto il libro, senza però bisogno di essere fisionomista che io lo sono poco.
Infatti, a riprova che ho ragione
Matteo Galiazzo: non lo conosco (credo sia tipo scomparso facendo perdere le sue tracce), ma conosco Marco Drago che ha curato la collana, mi sono fidato di lui e di Mozzi.
Noemi Cuffia: la conosco e ho bevuto anche un caffè con lei.
Gabriele Dadati e Giulio Mozzi: li conosco e li frequento, a volte anche insieme; spero pure di fare un giorno la Bottega di narrazione.
Nicoletta Bortolotti: amici dall’adolescenza, scriveva delle poesie pazzesche e io pensavo «diventerà una grande poetessa», ho sbagliato di poco.
Francesco Consiglio: mi ha chiesto l’amicizia su facebook.
NB. Ho messo tutti i link di acquisto a Bookrepublic perché sono gli amici miei e posso citofonare anche a loro.
Dell’insipienza del prestare un libro
Di tutto ciò che si può fare con un libro, prestarlo a qualcuno è senza dubbio la cosa più insensata.
È risaputo infatti che chi lo riceve disattende la natura transitoria del prestito e si ritiene sollevato dal dovere di restituirlo al proprietario. Costui o è un tignoso parassita oppure immagina che il libro sia un oggetto dal modesto valore economico destinato a una sola lettura, un po’ come un paese lontano che è improbabile visitare una seconda volta, e pensa tra sé e sé: «Se me lo ha dato, non gli serve più». E così il possessore originario si trova esposto a un duplice danno: non rivedrà mai più il suo libro e avrà perso la possibilità di acquisire almeno un credito di riconoscenza facendone dono consapevolmente.
Consideriamo il caso in cui il libro in oggetto sia, per esempio, un romanzo a cui siamo affezionati e che ci ha emozionato. È comprensibile, perfino raccomandabile, che desideriamo fare provare le stesse sensazioni a qualcuno che ci sta a cuore. Tuttavia, pensare «Te lo presto, così mi dici se ti piace» è un errore di valutazione degno di un dilettante. Se infatti intendiamo dire: «Questo libro è bellissimo, mi ha tenuto sveglio la notte, vorrei che lo leggessi», è preferibile acquistarne una seconda copia e regalarla con una dedica che sintetizzi in qualche parola il motivo del dono. Avremo così significato concretamente al destinatario l’importanza che riveste per noi questo volume, lasciato un ricordo indelebile, e insieme raddoppiato il nostro contributo alla diffusione del romanzo, motivando la casa editrice e l’autore a investirci ancora soldi e energie. Se poi il romanzo piacesse allo stesso modo a chi lo ha ricevuto, è pensabile che si inneschi un meccanismo moltiplicatore virtuoso.
Se invece si tratta di un libro di poco conto, che aveva attirato la nostra attenzione in un primo tempo – mettiamo per la copertina accattivante o una fascetta ben scritta -, ma che ci aveva deluso alla lettura, non c’è ragione per prestarlo ad alcuno: sarebbe anzi un imperdonabile errore perché solleveremmo il ricevente dalla sua responsabilità di scelta e lo esporremmo a una lettura poco motivata e superficiale. A ciò a cui non si attribuisce un valore – economico o affettivo – si dedica infatti uno sguardo disattento e fugace. Prestargli questo libro insipido sarebbe rendersi complici del fatto che verrà abbandonato dopo poche pagine. La lettura, infatti, impegna il lettore a prendere posizione attraverso un atto politico: promuovere attivamente la diffusione, comprando o facendo comprare copie, o al contrario scoraggiarla interrompendo la catena.
Il prestito di un libro, quindi – atto che potrebbe apparire non solo innocente, ma anche generoso e elegante -, è in realtà un gesto insicuro e irresponsabile che espone il destinatario all’imbarazzo e non manifesta la vera natura del nostro sentimento. Il vero lettore, oserei dire il vero amico, è colui che si fa carico della responsabilità che nasce quando sfogliamo l’ultima pagina di un romanzo: trasmetterlo o dimenticarlo.
L’avvento degli ebook non sarà certamente una ragione per sottrarsi a questo compito, anzi: essendo più difficile prestarli e poco lungimirante ottenerli tramite la pirateria informatica, resterà solo la via del regalo, seppur immateriale, e quella dell’oblio nel grande buio del database dello store.
Due etti di libri, per favore. Belli magri
Comprare libri alla Feltrinelli di piazza Piemonte la vigilia di Natale non è una buona idea. Però è venuta in mente a moltissime persone contemporaneamente, quindi così pessima non può essere. La maggioranza può avere torto?
Sto cercando una copia di La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo di Audrey Niffenegger per mia nipote, che non viaggia nel tempo ma in metropolitana e legge ancora libri di carta. Conoscendo già il titolo e l’autore – un romanzo che ho molto amato – è facile andare alla N e trovarlo. Ma non vorrei essere uno dei clienti che fanno la fila al banco informazioni, dove un unico commesso cerca di smistare richieste e domande.
In effetti il panorama è desolante: i libri nelle librerie sono visibilmente diminuiti in questi ultimi mesi (come del resto le librerie); il personale è ridotto all’osso e sotto contratto di solidarietà (meno ore per tutti). I clienti vagano spersi. Alla cassa la lunga fila del 24 con quel giusto equilibrio di sclero e fretta che fa tanto Natale. Quanto arriva il mio turno (ho in mano una pila consistente di volumi, perché strada facendo gli acquisti si sono moltiplicati – effetto boule de neige), il cassiere li passa lentamente uno a uno, osservandoli, quasi salutandoli. Lo riconosco per averlo visto altre volte, non in veste di cassiere ma di libraio: capelli folti, barba intellettuale, una trentina d’anni. Il tipo che ha studiato Lettere e poi ha fatto la scuola Mauri per librai perché crede nella Cultura e nel Libro. Ora sta battendo albi di Violetta, penne e taccuini dietro una cassa da supermercato.
Prende La moglie dell’uomo… Lo gira e lo rigira, pur avendolo già battuto. Me lo porge (gli altri libri li aveva semplicemente appoggiati sul piano):
«Bellissimo – mi dice -, è un romanzo stupendo. Lo consiglio sempre quando posso».
Poi mi striscia la carta fedeltà e aggiunge sorridendo amaro:
«Lo consigliavo, prima di finire alle casse».
Resistenza culturale alle fascette sui libri
Non sarà sfuggito nemmeno al più distratto frequentatore di librerie il proliferare canceroso di fascette promozionali. Un discreto sforzo di immaginazione per gli addetti al marketing che devono sfornare superlativi assoluti come pagnotte normalmente con una proporzionalità inversa tra valore del libro e dimensione della fascetta.
Chi fosse interessato al tema troverà esauriente documentazione sul blog di Alberto Forni Fascetta nera.
Personalmente do il mio piccolo contributo di resistenza attiva creando fascette ribelli che poi posiziono e fotografo nella totale, sfrontata illegalità sugli scaffali della libreria. Questa forma di resistenza può assumere diverse forme: dalla creazione di fascette ad hoc (in questo post alcuni esempi), allo scambio di fascette con evidenti effetti paradossali e comici, alla sovrapposizione reiterativa (di queste ultime due tipologie darò conto in seguito).
Esempio?
Ecco qui.
Fase uno
Creazione della fascetta.
Fase tre (non documentata)Fuga.
Ecco altri due esempi di ambito culinario e per così dire cinematografico.
Naturalmente è d’obbligo che almeno una fascetta riporti il giudizio di D’Orrico.
- continua -
I libri, dei veri bastardi
Non è vero che i libri sono amici. I libri – diciamolo – sono tra gli esseri viventi più insensibili e feroci che esistano.
Possono farti piangere irrefrenabili lacrime amare senza provarne vergogna. Farti innamorare di autentici bastardi. Tenerti sveglio la notte incuranti delle tue emozioni, anzi sghignazzando nel buio mentre ti fissano dal comodino. Ti seducono fino a quando ti accorgi di non poter più fare a meno di loro.
Mentono, ingannano, manipolano. Suscitano domande ma non forniscono spiegazioni. Ti lasciano senza rimorso ma se provi ad abbandonarli si vendicano crudelmente causando forti sensi di colpa. Si lasciano prendere da tutti, offrendosi sugli scaffali come puttane, ma non si legano a nessuno. Possono irrompere nella tua vita e trasformarla in un bordello di fazzoletti accartocciati e pizza fredda nei cartoni. Poi scomparire. Tornare dopo anni, quando credi di averli dimenticati e rimettere tutto in disordine.
Pensi di possederli, ma è vero il contrario.
Tu credi di leggerli, ma sono loro a leggere te.
(nella foto, mia poesia dorsale)