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Dell’insipienza del prestare un libro

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Di tutto ciò che si può fare con un libro, prestarlo a qualcuno è senza dubbio la cosa più insensata.

È risaputo infatti che chi lo riceve disattende la natura transitoria del prestito e si ritiene sollevato dal dovere di restituirlo al proprietario. Costui o è un tignoso parassita oppure immagina che il libro sia un oggetto dal modesto valore economico destinato a una sola lettura, un po’ come un paese lontano che è improbabile visitare una seconda volta, e pensa tra sé e sé: «Se me lo ha dato, non gli serve più». E così il possessore originario si trova esposto a un duplice danno: non rivedrà mai più il suo libro e avrà perso la possibilità di acquisire almeno un credito di riconoscenza facendone dono consapevolmente.

Consideriamo il caso in cui il libro in oggetto sia, per esempio, un romanzo a cui siamo affezionati e che ci ha emozionato. È comprensibile, perfino raccomandabile, che desideriamo fare provare le stesse sensazioni a qualcuno che ci sta a cuore. Tuttavia, pensare «Te lo presto, così mi dici se ti piace» è un errore di valutazione degno di un dilettante. Se infatti intendiamo dire: «Questo libro è bellissimo, mi ha tenuto sveglio la notte, vorrei che lo leggessi», è preferibile acquistarne una seconda copia e regalarla con una dedica che sintetizzi in qualche parola il motivo del dono. Avremo così significato concretamente al destinatario l’importanza che riveste per noi questo volume, lasciato un ricordo indelebile, e insieme raddoppiato il nostro contributo alla diffusione del romanzo, motivando la casa editrice e l’autore a investirci ancora soldi e energie. Se poi il romanzo piacesse allo stesso modo a chi lo ha ricevuto, è pensabile che si inneschi un meccanismo moltiplicatore virtuoso.

Se invece si tratta di un libro di poco conto, che aveva attirato la nostra attenzione in un primo tempo – mettiamo per la copertina accattivante o una fascetta ben scritta -, ma che ci aveva deluso alla lettura, non c’è ragione per prestarlo ad alcuno: sarebbe anzi un imperdonabile errore perché solleveremmo il ricevente dalla sua responsabilità di scelta e lo esporremmo a una lettura poco motivata e superficiale. A ciò a cui non si attribuisce un valore – economico o affettivo – si dedica infatti uno sguardo disattento e fugace. Prestargli questo libro insipido sarebbe rendersi complici del fatto che verrà abbandonato dopo poche pagine. La lettura, infatti, impegna il lettore a prendere posizione attraverso un atto politico: promuovere attivamente la diffusione, comprando o facendo comprare copie, o al contrario scoraggiarla interrompendo la catena.

Il prestito di un libro, quindi – atto che potrebbe apparire non solo innocente, ma anche generoso e elegante -, è in realtà un gesto insicuro e irresponsabile che espone il destinatario all’imbarazzo e non manifesta la vera natura del nostro sentimento. Il vero lettore, oserei dire il vero amico, è colui che si fa carico della responsabilità che nasce quando sfogliamo l’ultima pagina di un romanzo: trasmetterlo o dimenticarlo.

L’avvento degli ebook non sarà certamente una ragione per sottrarsi a questo compito, anzi: essendo più difficile prestarli e poco lungimirante ottenerli tramite la pirateria informatica, resterà solo la via del regalo, seppur immateriale, e quella dell’oblio nel grande buio del database dello store.